La formazione rende i lavoratori felici, lo dice anche una ricerca

Marco AbbonizioIl mondo della Formazione

Welfare e formazione possono fare la differenza per l’umore dei dipendenti, e l’umore fa la differenza sulla resa: vediamo insieme perché…

Il benessere dei dipendenti può essere un fattore chiave per gli obiettivi di un’azienda? La risposta è sì, nella maniera più assoluta. Ma come si può creare il giusto clima di partecipazione e condivisione all’interno di un’impresa? Le leve sono diverse, e noi prendiamo spunto da un interessante articolo de Il Sole 24 ore per parlarne in maniera più approfondita.

Partiamo da un assunto: il numero di lavoratori che si dichiarano infelici o poco coinvolti all’interno delle dinamiche aziendali va crescendo di anno in anno, di pari passo con il numero di lavoratori che rassegnano le dimissioni.

L’engagement dei propri dipendenti è infatti un elemento cardine per il successo di un’azienda, questo perché il coinvolgimento – professionale ed emotivo – ormai non è più uno slogan: lavorare in un ambiente stressante o con risorse poco motivate può avere impatti devastanti in termini di business, turnover, fedeltà e qualità dei servizi offerti.

L’implementazione di piani di welfare reali, che portino a benefici concreti per tutti, investire in una formazione attiva e che lasci risorse reali ai propri collaboratori: questi aspetti non possono essere trascurati se si punta a fare la differenza nel presente e soprattutto in un futuro a medio-lungo termine.

Avere in organico persone felici è, infatti, un primo fondamentale step per avere e costruire un’organizzazione di successo: se nella nostra vita trascorriamo quasi 100.000 ore lavorando, non possiamo evidentemente essere felici, insoddisfatti o poco coinvolti.

A questo proposito prendiamo in esame il dato riportato dall’Osservatorio Glickon per indagare quanto questo sentiment sia effettivamente diffuso tra manager e collaboratori.

Dalla ricerca, di fatto, emerge che la relazione tra lavoro e felicità è necessaria per l’80% degli intervistati.

Il 97% dei lavoratori ha invece affermato che una maggiore felicità è direttamente proporzionale a una maggiore produttività.

Due persone su tre si sono dichiarate contente della posizione che occupano, il 34% ha dichiarato che il ruolo attualmente ricoperto rappresenta effettivamente ciò che sognava di fare, mentre il 37% si ritiene comunque soddisfatto e sereno pur ammettendo di essersi adattato alla professione svolta.

Ma come vanno rapportati questi dati al cospetto del numero crescente di dimissioni e di frequenti cambi di lavoro da parte dei lavoratori italiani?

Il 46% delle persone intervistate ha confermato di essere disposto a cambiare impiego per ottenere una maggiore felicità e soddisfazione, sacrificando anche parte dello stipendio o parte dei benefit.

Proprio il salario continua comunque a fare la differenza: per il 62% degli intervistati, infatti, il fattore economico è fondamentale per la felicità, pur dichiarando che i reali cardini dell’essere felici sul lavoro sono anche altri. Le relazioni con i colleghi e l’ambiente lavorativo, per esempio, sono una componente irrinunciabile per il 30% dei lavoratori. Fattori oltremodo rilevanti sono le mansioni e la flessibilità.

La percezione dei valori cambia, ovviamente, a seconda dell’età: la Generazione Z e i Millennial considerano la qualità delle relazioni e la sostenibilità del tempo delle persone più importante rispetto alla Generazione X e ai “Boomer”, così come trasparenza ed etica della realtà per cui si lavora, fondamentali per i più giovani.

I lavoratori con più di 40 anni mettono invece al primo posto il benessere psico-fisico insieme alla valorizzazione economica e i benefit.

Il tratto comune di tutte le generazioni è invece portato dal valore della formazione, della crescita e dello sviluppo personale, fondamentale per tutti i lavoratori di questa epoca che sono chiamati, proprio in virtù dei rapidi cambiamenti del mercato del lavoro, ad una reale life long learning, la formazione continua per coltivare e far proprie competenze fondamentali a livello individuale ed aziendale.

A corollario della ricerca c’è infine il concetto di work-life-balance: le persone intervistate pensano di avere un buon equilibrio tra lavoro e vita privata? Le risposte si dividono praticamente a metà, con una leggera maggioranza negativa, che mette in evidenza ancora un certo divario tra il nostro Paese e territori sotto questo aspetto più avanzati come – ad esempio – i Paesi del nord Europa.

Torneremo a parlare presto delle evoluzioni del mondo del lavoro e della percezione che i lavoratori hanno di esso, della realtà per cui lavorano e del settore di riferimento. Una cosa è però certa: per un clima aziendale positivo e per contribuire con un impatto positivo sulla vita del lavoratore, la risorsa deve essere formata, stimolata, coinvolta e ben remunerata. La strada è tracciata, e noi di Human Factory, come attori protagonisti di formazione e lavoro, ci impegniamo giorno dopo giorno per diffondere in maniera capillare questa cultura e questi valori.

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